Soph. Ant. vv. 78-79, 192-193, 905-908 ed. Lloyd Jones – Wilson. I politai della Tebe di Antigone (442-441 a.C.)

Nei versi selezionati ricorre due volte l’espressione bia politon. Essa indica in entrambi i casi la violazione del volere dei cittadini attraverso la sepoltura di Polinice: politon è chiaramente da intendersi come genitivo oggettivo (cf. v. 59: nomou bia). Nel primo caso è Ismene a farvi ricorso, specificando che non sarebbe andata contro il volere dei cittadini, mentre nel secondo la medesima espressione è usata da Antigone. Sebbene il divieto di seppellire Polinice di fatto promanasse da un editto di Creonte, il cui statuto costituzionale non risulta del tutto chiaro all’interno del dramma, è interessante che Ismene prima e la stessa Antigone poi riconoscano in Creonte un rappresentante dei cittadini e della loro volontà (cf. v. 44, dove l’atto della sepoltura di Polinice viene definito aporreton polei, con polei che può essere inteso sì come dativo di relazione, «vietato per la città» , ma allo stesso tempo anche come dativo d’agente, «vietato dalla città», Griffith).

Trattandosi dunque di un editto di fatto assurto a legge, è evidente che nell’immaginario del pubblico di Ateniesi che assistevano alla rappresentazione dell’Antigone, il termine politai, in riferimento all’editto di Creonte, rimandasse a un contesto eminentemente istituzionale, quello cioè del processo della nomothesia, naturalmente appannaggio dei cittadini. Non sembra infatti un caso che al v. 908 Antigone usi il sostantivo nomos, giocando sull’ambiguità del termine per contrapporre la legge divina (e anche il principio di Dike universale, cf. vv. 451-452) all’iniqua legge terrena rappresentata dall’editto di Creonte, che, almeno da un punto di vista formale, finisce col rappresentare la volontà dei cittadini (cf. v. 191, dove è Creonte a servirsi del termine nomoi, da intendersi come i principi sui quali egli intendeva fondare il proprio potere, e dunque le proprie leggi). Si noti inoltre che al v. 193 Creonte stesso parlerà del proprio kerugma specificando che esso era rivolto a tutti gli astoi (cf. v. 27). Si può pertanto ragionevolmente supporre che mentre politai rimanda a un contesto istituzionale che vede i cittadini come coloro che subiscono sì la volontà di Creonte ma allo stesso tempo sono in ultima analisi rappresentati da lui e dai suoi decreti (ed è pertanto come se in ultima istanza essi agissero tramite Creonte), astoi del v. 193 designa i cittadini come meri destinatari della legge stessa, e dunque, nell’immaginario collettivo dell’Atene dell’epoca, non nel pieno esercizio dei loro diritti politici.

1. 78-79

Ισ. 					[...]τὸ δὲ
	βίᾳ πολιτῶν δρᾶν ἔφυν ἀμήχανος.

Ismene: non sono capace di agire andando contro il volere dei cittadini.


2. 192-193

Κρ. 	Kαὶ νῦν ἀδελφὰ τῶνδε κηρύξας ἔχω
	ἀστοῖσι παίδων τῶν ἀπ’ Οἰδίπου πέρι.

Creonte: E ora, in pieno accordo con essi (scil. i principi poco prima enunciati) ho promulgato un decreto per tutti i cittadini in merito ai figli di Edipo.


3. 905-908

Ἀν. 	οὐ γάρ ποτ’ οὔτ’ ἂν εἰ τέκν’ ὧν μήτηρ ἔφυν   
	οὔτ’ εἰ πόσις μοι κατθανὼν ἐτήκετο,
	βίᾳ πολιτῶν τόνδ’ ἂν ᾐρόμην πόνον.
	τίνος νόμου δὴ ταῦτα πρὸς χάριν λέγω;

Antigone: Non avrei mai scelto di infliggermi un tale dolore andando contro la volontà dei cittadini se a putrefarsi fossero stati dei figli miei o un marito. In ossequio a quale norma parlo dunque così?

  • J. Blok, Citizenship in Classical Athens, Cambridge 2017
  • D. Cairns, Sophocles: Antigone, London – New York 2016
  • G. Camassa, Scrittura e mutamento delle leggi nel mondo antico. Dal vicino Oriente alla Grecia di età arcaica e classica, Roma 2011
  • E. Cohen, The Athenian Nation, Princeton 2000
  • M. Griffith, Sophocles. Antigone, Cambridge 1999
  • E.M. Harris, Antigone the Lawyer, or the Ambiguities of Nomos in E. M. Harris – L. Rubinstein (a cura di), The Law and the Courts in Ancient Greece, London 2004, 19-56 (rist. in E. M. Harris, Democracy and the Rule of Law in Classical Athens. Essays on Law, Society, and Politics, Cambridge 2006, 41-80)