Isocrates, 12.131-133 e 147. La vera democrazia (339 a.C.)

Nel Panatenaico Isocrate riprende alcuni brani di opere precedenti, per giustificare il proprio percorso pedagogico e ideologico. Nei §§ 130-148 l’oratore rimanda ad alcuni passi dell’Areopagitico sul tema della migliore politeia, identificata nella democrazia antica, stabilita dai successori dell’ultimo re, Teseo.

Κατεστήσαντο γὰρ δημοκρατίαν, οὐ τὴν εἰκῇ πολιτευομένην καὶ νομίζουσαν τὴν μὲν ἀκολασίαν ἐλευθερίαν εἶναι, τὴν δ’ ἐξουσίαν ὅ τι βούλεταί τις ποιεῖν εὐδαιμονίαν, ἀλλὰ τὴν τοῖς τοιούτοις μὲν ἐπιτιμῶσαν, ἀριστοκρατίᾳ δὲ χρωμένην (§ 131).

Istituirono infatti una democrazia, che non agiva a caso e non considerava la licenza libertà, la facoltà di far ciò che si vuole felicità, ma che, censurando tutto ciò, era mescolata all’aristocrazia.

Del resto, precisa Isocrate, dei tre tipi di costituzione, monarchia, oligarchia e democrazia, tutte possono essere buone. La discriminante sta nei criteri di affidamento delle magistrature:

Ἐγὼ δὲ φημὶ τὰς μὲν ἰδέας τῶν πολιτειῶν τρεῖς εἶναι μόνας, ὀλιγαρχίαν, δημοκρατίαν, μοναρχίαν, τῶν δ’ ἐν ταύταις οἰκούντων ὅσοι μὲν εἰώθασιν ἐπὶ τὰς ἀρχὰς καθιστάναι καὶ τὰς ἄλλας πράξεις τοὺς ἱκανωτάτους τῶν πολιτῶν καὶ τοὺς μέλλοντας  ἄριστα καὶ δικαιότατα τῶν πραγμάτων ἐπιστατήσειν, τούτους μὲν ἐν ἁπάσαις ταῖς πολιτείαις καλῶς οἰκήσειν καὶ πρὸς σφᾶς αὐτοὺς καὶ πρὸς τοὺς ἄλλους· τοὺς δὲ τοῖς θρασυτάτοις καὶ πονηροτάτοις ἐπὶ ταῦτα χρωμένους, καὶ τῶν μὲν τῇ πόλει συμφερόντων μηδὲν φροντίζουσιν, ὑπὲρ δὲ τῆς αὑτῶν πλεονεξίας ἑτοίμοις οὖσιν ὁτιοῦν πάσχειν, τὰς δὲ τούτων πόλεις ὁμοίως οἰκήσεσθαι (§§ 132-133).

Io dico che le forme costituzionali sono solo tre, oligarchia, democrazia e monarchia, e che, tra quanti vivono sotto questi regimi, quelli che sono abituati a stabilire alle magistrature e agli altri affari pubblici i più capaci (tous ikanotatous) dei cittadini e quelli che se ne occuperanno nel modo migliore e più giusto (arista kai dikaiotata), costoro sotto le loro costituzioni vivranno bene, loro stessi e gli altri; ma quelli che si servono per questi affari dei più arroganti e malvagi, e che non si curano affatto dell’interesse della città, ma sono pronti a tollerare tutto per la loro prepotenza, le loro città saranno amministrate allo stesso modo.

Ritorna qui l’idea dell’affidamento delle magistrature agli ikanotatoi e a coloro che possono occuparsi degli affari pubblici arista kai dikaiotata (cfr. Areop. 26-27).

Dopo aver insistentemente sottolineato la scelta dei capi su base meritocratica nella democrazia antica e aver introdotto la consueta polemica sul misthos, Isocrate così conclude, riproponendo l’adozione di una democrazia in cui il popolo si limita ad eleggere i magistrati e ad esercitare il potere giudiziario:

καὶ πάντας νομίζειν μηδέποτ’ ἂν γενέσθαι δημοκρατίαν ἀληθεστέραν μηδὲ βεβαιοτέραν μηδὲ μᾶλλον τῷ πλήθει συμφέρουσαν τῆς τῶν μὲν τοιούτων πραγματειῶν ἀτέλειαν τῷ δήμῳ διδούσης, τοῦ δὲ τὰς ἀρχὰς καταστῆσαι καὶ λαβεῖν δίκην παρὰ τῶν ἐξαμαρτόντων κύριον ποιούσης, ἅπερ ὑπάρχει καὶ τῶν τυράννων τοῖς εὐδαιμονεστάτοις (§ 147).

E tutti ritenevano che non ci sarebbe mai stata una democrazia più vera, più salda e più utile al popolo di quella che lo esentava da queste attività, ma che lo rendeva padrone di eleggere i magistrati e di punire chi sbagliava, come compete anche ai più felici fra i tiranni.

Quali sono i pragmateia da cui il popolo va esentato? Prima di tutto le archai (§ 145);però nel § 143 si parla delle qualità necessarie per chi vuole salire alla tribuna e dare consigli alla città (τοὺς ἐπὶ τοῦ βήματος βουλομένους καὶ δυναμένους τὰ βέλτιστα συμβουλεύειν), il che farebbe pensare al diritto di prendere la parola in assemblea e fare proposte, dunque al potere deliberativo. Anch’esso potrebbe essere riservato a chi ha le necessarie qualità.

Benché non sia usata qui l’espressione archomenos polites (cfr. De pace 91), una figura di questo genere è esattamente quel che l’oratore propone nell’ambito della sua “democrazia diversa”, la quale implica una sensibile riduzione dei diritti del demos e della dimensione partecipativa (cfr. Areop. 26-27). Il popolo può eleggere i magistrati e sottoporli a rendiconto, ma non gode di elettorato passivo; può esercitare il potere giudiziario, ma non pare abbia accesso a quello deliberativo. La proposta appare in piena continuità con il pensiero oligarchico del V secolo: l’obiettivo è di espellere i teti dalle funzioni di governo, come rivela del resto la polemica sul misthos.

  • C. Bearzot, Studi su Isocrate (1980-2020), Milano 2020
  • K. Bringmann, Studien zu den politischen Ideen des Isokrates, Göttingen 1965
  • P. Cloché, Isocrate et son temps, Paris 1963
  • P. Roth, Der Panathenaikos des Isokrates. Übersetzung und Kommentar, München-Leipzig 2003