ID 1802 – Quinto Tullio e i suoi liberti (100 a. C. ca.)

Sull’iscrizione è registrata la dedica di una statua a Quinto Tullio da parte di suoi tre liberti: Eracleone, Aristarco e Alessandro (su questi personaggi v. Ferrary-Hasenohr-Le Dinahet 2002, 218, nr. 4-7; Touloumakos 1995, 81-84). L’iscrizione è bilingue (latino-greco), e quel che è degno di nota è che, mentre nel testo greco i tre liberti appaiono designati semplicemente come οἱ Κοίντου, nel testo latino, tra il nomen e il cognomen, appare la l di libertus preceduta dal genitivo del praenomen del loro patrono.  Certamente, la condizione di liberto dei tre dedicanti si evince dalla presenza del sostantivo πάτρων («patrono») alla l. 4 e dal sostantivo υἱός («figlio», seguito dal genitivo del nome del padre) per distinguere e qualificare il dedicatario, Quinto Tullio, come individuo libero (si noti peraltro che lo stesso personaggio viene citato senza il sostantivo υἱός in ID 1730). L’omissione di qualsiasi riferimento allo status dell’individuo costituisce peraltro una caratteristica propria di una buona parte delle iscrizioni provenienti da Delo e che documentano i rapporti tra le gentes italiche ivi attive dopo il 167 a. C., anno in cui l’isola fu dichiarata porto franco da Roma e trasformata in una cleruchia ateniese (su Delo cleruchia ateniese v. Roussel 1916; Rauh 1993, 3-41). Tale è il caso, per esempio, di ID 1732 e 1733, ove, nella versione greca, gli individui di condizione libera non vengono designati neanche con la formula υἱός + genitivo (sull’uso di questa formula anche in greco v. Adams 2003, 670-677; sull’impossibilità di discernere i liberi dai liberti in molte iscrizioni redatte solamente in greco v. Touloumakos 1995, 115-116; Hasenohr 2017, 125). Persino gli schiavi, nei testi greci, vengono menzionati attraverso il semplice riferimento al nome del padrone (o dei padroni) declinato al caso genitivo (v. per es. ID 1761, ll. 7-8 cf. ID 1724; 1765 con Hasenohr 2017, 121).

            I cognomina dei tre liberti di Quinto Tullio rivelano chiaramente la loro origine greca. Il greco diviene per gli Italici attivi nella Delo della seconda metà del II secolo e del primo quarto del I secolo a. C. la lingua dell’informalità e dell’autorappresentazione, mentre il latino è la lingua dell’ufficialità (v. Hasenohr 2007, 225-226; 2008). In particolare, il latino è usato, spesso accanto al greco, dagli ingenui italici quando essi intendano conferire carattere ufficiale a un documento (per es. ID 1731, 1732). I liberti e gli schiavi, invece, mostrano una spiccata preferenza per il greco, come dimostrano le iscrizioni accluse alle dediche offerte dai magistri del collegium dei Compitaliasti, che non comprendeva ingenui (v. per es. ID 1760, 1761; su tale collegium v. Hasenohr 2003; 2022, 84; Broekaert 2015, 171-175). Il fatto che anche gli ingenui, che erano cives delle urbes italiche, usassero così spesso il greco dimostra certamente il desiderio da parte loro di integrarsi nella cleruchia ateniese, che, inoltre, subiva anche il forte influsso dell’Egitto tolemaico e di Cipro (v. Mavrojannis 2002, 173-179). Sebbene la cultura romano-italica non fosse stata affatto obliterata (v. Hasenohr 2007, 228-230), gli Italici presenti sull’isola riconoscevano alla cultura greca un certo primato. Ciò sembrerebbe spiegare anche perché i cittadini delle graecae urbes italiche e talvolta anche i liberti ostentino l’etnico, rimarcando così la propria cittadinanza (v. per es. ID 1761, ll. 5-6; 1763, l. 7).  

            Il caso di Quinto Tullio e dei suoi tre liberti costituisce un esempio molto eloquente di quanto osservato finora. Il contesto di rinvenimento dell’iscrizione, che doveva essere l’abitazione di Quinto Tullio (ma su questo v. Rauh 1993, 198-200), rivela una forte contaminazione tra differenti culture. Anzitutto, l’edificio presenta uno stile tipicamente locale, non diversamente dalle altre abitazioni italiche ubicate a Delo (v. Zarmakoupi 2013). Inoltre, in una delle sale è stata rinvenuta una statuetta di terracotta egizia dell’Afrodite orientale (Zarmakoupi 2016, 70). Insomma, la casa di Quinto Tullio costituisce un microcosmo che riflette il free space che Delo rappresentava per i mercatores italici (sul concetto di free space v. Vlassopoulos 2007): in essa, attraverso il network intrafamiliare che vincolava il padrone, latinofono e ingenuus, ai suoi liberti, di origine greca e probabilmente ex cittadini di poleis greche, venivano plasmate una cultura e un’identità composite che parzialmente (e momentaneamente) abbattevano le barriere statutarie esistenti in patria e costituivano il canale privilegiato per l’instaurazione di legami sociali e commerciali interfamiliari con altri Italici, ma anche con i mercanti greci e orientali provenienti da altre aree geografiche (v. Zarmakoupi 2013 n. 24; sui network interfamiliari e intrafamiliari nella Delo ellenistico-romana v. Brokaert 2015, 146-149). Non a caso, uno dei tre liberti, Eracleone, negli anni 90 del I secolo risulta come magister dei Compitaliasti (ID 1761), il che lascia supporre che, proprio grazie a questo ruolo, verosimilmente ottenuto col supporto del patrono, egli potesse fornire un grande aiuto a quest’ultimo nell’operazione sociale di cui si è detto (sull’ascesa sociale di liberti e schiavi e i limiti che venivano posti a tale ascesa, v. Hasenohr 2017). Che la Delo di età romana rappresentasse un grande free space trova una vistosa conferma se si ammette che non esistesse sull’isola un’entità unica (conventus) di natura amministrativa e istituzionale che raggruppava l’intera comunità italica ivi presente (così Kornemann 1892, 50-61; Ferguson 1911, 355-356, 396-397; Hasenohr 2002), ma che gli Italici si suddividessero in vari collegia, la cui natura era esclusivamente socio-economica e cultuale (così Hatzfeld 1912, 146-176; Flambard 1982; Broekaert 2015, 159-175).

a.1       [Κόιντον Τύλλιον — — — —]π̣ον Κ̣οίντου υἱὸν

    [Κόιντος Τύλ]λ̣ι̣ο̣ς̣ [Ἡρα]κ̣λέων καὶ Κόιντος

    Τύλλιος Ἀλέξανδρος καὶ Κόιντος Τύλλιος

    Ἀρίσταρχος οἱ Κοίντου τὸν ἑαυτῶν πάτρωνα

5          ἀρετῆς ἕνεκεν κ̣αὶ̣ καλοκἀγαθίας τῆς εἰς ἑαυτούς.

b.1       [Q. Tullium Q. f. — — —pum]

    Q. Tullius Q. l. A[ristarchus],

    Q. Tullius Q. l. Ale[xander],

    Q. Tullius Q. l. He[racle]o [p]atrọ[nem]

5          suom honoris et be[nef]ịci cau[sa].

Quinto Tullio Eracleone, Quinto Tullio Alessandro e Quinto Tullio Alessandro (dedicano una statua) al proprio patrono, Quinto Tullio […] figlio di Quinto per la virtù e la rettitudine mostrate nei loro confronti.

Quinto Tullio Aristarco liberto di Quinto, Quinto Tullio Alessandro liberto di Quinto, Quino Tullio Eracleone liberto di Quinto (dedicano una statua) al proprio patrono per onorarlo e gratificarlo.

  • J. N. Adams, Bilingualism and the Latin Language, Cambridge 2003.
  • W. Broekaert, Recycling Networks. The Structure of the Italian Business Community on Delos in P. Erdkamp – K. Verboven (eds.), Structure and Performance in the Roman Economy, Bruxelles 2015, 143-182.
  • W. S. Ferguson, Hellenistic Athens. An Historical Essay, London 1911.
  • J.-L. Ferrary, C. Hasenohr, M. T. Le Dinahet, Liste des Italiens de Délos in Müller – Hasenohr 2002, 183-239.
  • J. M. Flambart, Observations sur la nature des magistri italiens de Délos in F. Coarelli – D. Musti – H. Solin (eds.), Delo e l’Italia. Raccolta di studi, 1982, 67-77.
  • C. Hasenohr, Les collèges de magistri et la communauté italienne de Délos in Müller – Hasenohr 2002, 67-76.
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