Sulla legge di Pericle sulla cittadinanza ci informano diverse fonti, la più antica delle quali è Aristotele (Costituzione degli Ateniesi, 26, 4):
καὶ τρίτῳ μετὰ τοῦτον ἐπὶ ’Αντιδότου διὰ τὸ πλῆθος τῶν πολιτῶν Περικλέους εἰπόντος ἔγνωσαν μὴ μετέχειν τῆς πόλεως, ὃς ἂν μὴ ἐξ ἀμϕοῖν ἀστοῖν ᾖ γεγονώς.
Nel terzo anno che seguì, sotto l’arcontato di Antidoto, a causa del numero eccessivo di cittadini, su proposta di Pericle, gli Ateniesi decretarono che non avrebbe avuto parte alla cittadinanza chi non fosse nato da genitori entrambi cittadini.
La notizia ritorna in Plutarco (Vita di Pericle, 37, 3), a proposito della richiesta da parte di Pericle di sospendere la legge per poter legittimare il figlio avuto da Aspasia, Pericle il Giovane:
εἶχε δ᾽ οὕτω τὰ περὶ τὸν νόμον. ἀκμάζων ὁ Περικλῆς ἐν τῇ πολιτείᾳ πρὸ πάνυ πολλῶν χρόνων, καὶ παῖδας ἔχων, ὥσπερ εἴρηται, γνησίους, νόμον ἔγραψε μόνους Ἀθηναίους εἶναι τοὺς ἐκ δυεῖν Ἀθηναίων γεγονότας.
Le circostanze relative a questa legge sono le seguenti. Molti anni prima Pericle, quando era al sommo della carriera politica e aveva figli legittimi, come si dice, redasse una legge in base alla quale fossero Ateniesi solo coloro che erano nati da genitori entrambi Ateniesi.
La notizia si trova inoltre in fonti minori (Ael. VH VI, 10; XIII, 24; F 68 = Suda s.v. δημοποίητος).
La legge voluta da Pericle limitava l’accesso alla cittadinanza di pieno diritto ai figli di padre e di madre ateniesi, escludendone i cosiddetti patroxenoi/metroxenoi, cioè i nati da matrimoni di cittadini/e ateniesi con stranieri/e, che fino a quel momento avevano avuto libero accesso alla cittadinanza. Per questa legge sono state cercate motivazioni diverse.
Alcuni hanno sottolineato la volontà di colpire le pratiche aristocratiche, giacché nelle grandi famiglie ateniesi era uso contrarre matrimonio con membri di famiglie aristocratiche straniere; proprio a Pericle era attribuito un attacco a Cimone per aver generato figli non gnesioi, ma xenoi, da una donna arcade (Plut. Per. 29, 2). C’è anche chi ha pensato ad un obiettivo più limitato, cioè ad un provvedimento ad personam destinato a colpire Cimone; ma l’ipotesi è rimasta isolata.
Altri, seguendo Aristotele, hanno pensato al bisogno di fronteggiare una eccessiva crescita demografica, ma identificando nel provvedimento la risposta a diverse esigenze: al timore che l’ampliamento del corpo civico rendesse la costituzione ingovernabile e alla impopolarità di cui godevano, secondo la morale comune, i matrimoni misti; ad un ipotetico aumento del numero dei cittadini, negli anni precedenti al 451/50, dovuto alle numerose concessioni di cittadinanza a xenoi, che andavano ad aggiungersi alle nascite di metroxenoi; alla necessità, fortemente sentita nel popolo, di definire con precisione chi fosse il cittadino ateniese cui spettava la terra dell’Attica, a causa di una crescente pressione delle rivendicazioni agrarie.
Molti tra i moderni, tuttavia, hanno rifiutato la spiegazione aristotelica, ritenendola un’opinione personale del filosofo non suffragata da dati storici; in Pol. III, 1278 a 31, infatti, Aristotele collega l’applicazione di criteri di discendenza più rigidi per l’accesso alla cittadinanza con l’abbondanza di popolazione e di criteri più ampi con la penuria di cittadini legittimi (oliganthropia). Valutazioni sicure del livello demografico ateniese, e quindi dell’eventuale necessità di non farlo crescere ulteriormente, per non parlare della reale incidenza del numero di matrimoni misti, su cui non siamo in grado di dire nulla di sicuro, non sembrano possibili. Inoltre, sembra difficile capire come la legge, con il divieto di legittimare figli nati da matrimoni misti, potesse far diminuire la natalità in modo significativo, dato che essa non aveva valore retroattivo (il metroxenos Cimone divenne stratego nel 450/49) e non prevedeva alcun controllo immediato sul corpo civico. Del resto, sarebbe risultato alquanto ingiusto colpire matrimoni regolarmente contratti e figli presentati alle fratrie nel rispetto delle leggi vigenti.
Non pare, poi, che la legge comportasse anche il divieto di contrarre matrimoni con stranieri: sembra che essa penalizzasse soltanto lo status della prole, rendendo in tal modo l’unione con uno straniero per nulla auspicabile, dato che i figli non avrebbero potuto né godere della cittadinanza né ereditare il patrimonio familiare. Il divieto esplicito di contrarre matrimonio con stranieri fu introdotto, probabilmente, nel IV secolo, come sembrano suggerire due passi dell’orazione pseudodemostenica Contro Neera (59, 16 e 52), in cui l’oratore fa riferimento alle punizioni previste per chi instaura o favorisce matrimoni misti.
Altri ancora hanno ipotizzato che la legge avesse come obiettivo non tanto i metroxenoi, ma altre persone di status inferiore, di cui si voleva evitare matrimonio con cittadine ateniesi, soprattutto in caso di eccessive perdite in guerra. È stato ipotizzato un collegamento tra la legge e la fallimentare spedizione in Egitto di qualche anno prima (460-454): il provvedimento pericleo avrebbe inteso colpire i numerosi matrimoni tra meteci e donne ateniesi rimaste vedove dopo la catastrofe, matrimoni che avrebbero consentito ai meteci di inserire la loro discendenza nel corpo civico. Sulla stessa linea, si è pensato al timore suscitato dai matrimoni tra meteci e figlie di cittadini di modesta condizione che faticavano a trovare un marito astos, e che avrebbe comportato l’acquisizione della cittadinanza da parte di elementi spuri. Infine, è stata fatta anche l’ipotesi che la legge volesse arginare il rischio che nel corpo civico venissero introdotti elementi di origine servile, e cioè figli avuti da Ateniesi con schiave.
In ogni caso, quel che è certo è che la legge intendeva sottolineare il senso di appartenenza al corpo civico originario, limitandovi l’ingresso agli Ateniesi “puri” (katharoi). Tale senso di appartenenza può rimandare a motivazioni ideali, e cioè alla volontà politica di preservare la purezza etnica del corpo civico, oppure a motivazioni più pratiche, e cioè al desiderio di limitare il numero dei beneficiari dei vantaggi concreti collegati con il possesso della cittadinanza. Essa sembra quindi esprimere la progressiva chiusura della democrazia, che, quanto più offriva ai propri cittadini il pieno godimento dei diritti e dei privilegi connessi con il loro status, tanto più tentava di limitarne la possibilità di fruizione.
La legge di Pericle fu sospesa di diritto o di fatto in momenti di crisi demografica (come la guerra del Peloponneso); venne poi regolarmente riproposta ad emergenza superata ([Dem.] 57, 30; Eumel. FGrHist 77 F 2; Caryst. FHG 358, F 11 in Athen. XIII, 577 b-c).
Interpretazioni recenti, che sottolineano l’ideologia etnica che fonda l’identità del cittadino democratico ateniese, basata prima di tutto sulla discendenza, sembrano trovare conferma nel provvedimento di Pericle. In realtà, è possibile che la legge sulla cittadinanza costituisse uno dei punti del programma democratico ed esprimesse un intento di sistematica valorizzazione del demos. Essa, infatti, indubbiamente rafforzò il ruolo del demos nella formazione del corpo cittadino: una donna anche di modeste condizioni, ma aste, cioè appartenente ad una famiglia di cittadini ateniesi, acquisiva un ruolo privilegiato, interdetto a qualsiasi aristocratica straniera, nella trasmissione della cittadinanza legittima alla prole. Interessante, a questo proposito, è il rapporto con il “mito” dell’autoctonia, la rivendicazione di essere “nati dalla terra” e di non essere immigrati nella propria sede di stanziamento dall’esterno, che esprime, in Atene, una forte rivendicazione di identità di carattere anche etnico: tra i diversi obiettivi della sua utilizzazione vi fu certamente, accanto a quello di dare solido fondamento all’idea dell’uguaglianza democratica fra le diverse componenti del corpo civico, presentato come privo di originarie divisioni interne, quello di giustificare la “serrata della cittadinanza” voluta dalla legge di Pericle. Limitando l’accesso al corpo dei cittadini di pieno diritto ai figli di padre e di madre ateniese, la legge riservava ad un gruppo relativamente limitato e comunque idealmente “chiuso” i privilegi derivanti dal possesso dello status di cittadino: privilegi tanto significativi da frenare ogni disponibilità ad estenderli oltre la cerchia dei cittadini “puri”. Essa quindi si poneva in stretto rapporto con quella mentalità elitaria, legata all’idea dell’origine autoctona e quindi della purezza etnica degli Ateniesi, che affermava una netta opposizione tra astoí/politai e le diverse categorie di esclusi.
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